Parlerò di causalità, in qualche modo di casualità, e di David Byrne.
Nel 2011 è uscito “This must be the place” di Sorrentino. Di musica sapevo tutto quello che c’è da sapere sui testi dei cantautori italiani, allora e ancora per qualche anno avrei ascoltato con curiosità il jazz capendone poco, ma del resto, nulla, mai interessato.
Non avevo idea di chi fosse David Byrne quando ho visto il film, dove compare più volte, interpretando sè stesso. Non sapevo nemmeno che il protagonista Cheyenne fosse ispirato a Robert Smith dei Cure – in realtà ignoravo chi fossero i Cure, conoscevo il nome del gruppo.
Qualche anno dopo, ha cantato “Strange Weather” con Anna Calvi, che ricordo come una delle prime canzoni che mi ha fatto venire la curiosità di scoprire musica nuova. Quello che mi incuriosiva in realtà è che Anna Calvi è bella e brava, intuivo che Byrne fosse la guest star che nobilitava il pezzo, ma per me era uno qualsiasi.
Poi mi sono imbattuto in “How music works”, un ebook in inglese, chissà chi è questo che cantava quella bella canzone ed era anche in un film, sarà un manuale, prendiamolo. Bang. Scoprire che si possono pensare e realizzare di seguito “Stop Making Sense” e “My Life in the Bush of Ghosts” è stata una rivelazione che mi ha entusiasmato.
Ma credo che l’entusiasmo non avrebbe attecchito se, nel parlare dell’approccio razionale dei greci alla musica, Byrne non avesse scritto “Pythagoras was a bit of a numbers nut”. Nell’edizione italiana è reso con “Pitagora era un fanatico dei numeri” – per fortuna ho letto prima quella originale. “A bit of a numbers nut” mi ha fatto ridere e non me la sono più dimenticata. I libri di storia della matematica illustrano l’approccio pitagorico alla musica, tutto è numero e quindi anche le note devono in qualche modo adeguarsi. Anche la diagonale del quadrato avrebbe dovuto farlo, ma niente. Raccontano di un tipo esiliato da Pitagora perché in aula ha alzato la mano, “scusi prof, ma a me non pare che questo segmento sia un intero”. I suoi amici avrebbero dovuto dirgli “quello lì is a bit of a numbers nut, non badargli e sta qua con noi”.
Per me Byrne è diventato importante per quella frase, scritta per alleggerire il linguaggio, non per fare analisi sulla filosofia e sulla società della Grecia del periodo classico, la causalità è solo nella mia testa: se Byrne dice una cosa che mi diverte e mi interessa, è un tipo da prendere in considerazione. Collegare i puntini fra Sorrentino, Anna Calvi e il manuale su come si fa la musica, e da lì scoprire chi fossero i Cure e poi proseguire nell’esplorazione del mondo della musica, è una cosa che ho fatto io. Ho creato un percorso personale verso l’ignoto basato su autorità e credibilità attribuite sulla base del già noto, in un modo che diventa intelleggibile a posteriori.
Magari intelleggibile non del tutto, vabbè. In ogni caso: Byrne è molto bravo e “How Music Works” è un bel libro e anche un bell’oggetto in forma cartacea, val la pena leggerlo e averlo in libreria.
7/3/2025
Dedicato a Max, lui sa perchè
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